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Capitolo 1169

Evacuazione

I Magi erano una razza paziente. Non essendo in grado di affrontare Leylin e sperare di avere la meglio, almeno per il momento, Ombra Distorta decise di aspettare e prendersi del tempo per recuperare i suoi pieni poteri. Avrebbe avuto una chance contro di lui, ammesso che Leylin nel frattempo non riuscisse ad accrescere la sua forza.

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Le esistenze particolarmente potenti erano trattate come divinità dai comuni abitanti del piano materiale originario, e gli stessi Magi erano visti come delle creature quasi fiabesche. Le loro imprese, anche se grandiose, contavano pressoché nulla per la gente comune. L’unico pensiero di quella povera gente era guadagnare qualche soldo in più per poter sopravvivere un giorno ancora. Volevano solo avere pane da mettere sotto i denti e birra da bere.

Doron era un popolano. Veniva da una famiglia di carpentieri ed era stato costretto anche lui a quella vita fin da quando era molto giovane, ma il lavoro non gli dava molto di cui campare. I suoi compiti consistevano nel riparare i mobili di un signorotto del posto, molto spesso senza ricevere un compenso. In più doveva anche badare alla stalla. La maggior parte delle volte non riceveva nemmeno un po’ di cibo in cambio del suo lavoro.

Qualsiasi cosa avesse a che fare con divinità e demoni era lontana anni luce da lui e i racconti sulle loro epiche gesta erano come le favole che i bardi raccontano per intrattenere. Tutte quelle favole non avevano niente a che fare con lui, al massimo ogni tanto ascoltava quei racconti per intrattenersi e dimenticare le fatiche della vita.

Poi, un giorno, tutto cambiò. La sua vita tranquilla scomparve quando una luna di porpora esplose alta nel cielo e fu sostituita da un grande occhio malefico. Il problema più grande non era aver perso la luna. Molte famiglie, non avendo olio per le lampade, andavano a dormire molto prima della sua comparsa nel cielo. Poi restavano sempre le stelle la cui luce, seppur fioca, era abbastanza da illuminare le notti. Le uniche preoccupate di quella perdita erano certe ragazzine che amavano perdersi in pensieri d’amore ammirando la luna e sorseggiando un vino dolce.

No, quello che spaventò tutti quanti fu scoprire la verità. I demoni esistevano ed erano vicini a loro. Altrimenti come avrebbe potuto la luna trasformarsi in un occhio o il grande Intreccio frantumarsi sotto i loro occhi?

«La fine è vicina. Qualcosa di incredibilmente potente è venuto fin qui per distruggere il mondo intero…» profetizzavano alcuni menestrelli, che avevano deciso di rimpiazzare le solite allegre melodie con terrificanti e solenni profezie. Solo a sentire quelle folli parole, il cuore di Doron fremeva dalla paura.

«Gli dei del cielo… forse mi preoccupo troppo? Dovrei andare più spesso in chiesa e chiedere aiuto a Padre Rockefeller…» disse soppesando il suo portamonete. C’erano alcuni spiccioli di rame consumati e opachi, tutti rovinati e dai bordi scheggiati.

‘Maledetta Signora De Lise, di sicuro è stato quel suo grasso maiale a rovinare così le monete…’ si lamentò dentro di sé guardando il misero salario che si era portato a casa dopo una giornata intera di duro lavoro. Non aveva coraggio di lamentarsi direttamente col suo padrone, quindi si limitò a borbottare.

Dopo aver visto accadere una cosa così sorprendente aveva trascorso le giornate in preda ad una grande preoccupazione, così si era quasi deciso a fare un salto in chiesa e magari fare anche una donazione o robe simili, nella speranza di guadagnarsi la protezione del Signore.

Il Mondo degli Dei era governato da un sistema che aveva come pilastri la chiesa e lo stato. La prima aveva potere sulla fede dei cittadini, mentre il secondo impugnava le redini delle loro vite. I più poveri decidevano comunque di dare tutto quello che avevano a uno dei due nella speranza di essere prima o poi ricambiati. Lo stato prendeva e la chiesa chiedeva, ma in fondo in fondo anche quest’ultima finiva per svuotare le tasche della povera gente.

«Doron!» si sentì un fischio gioviale, «hai finito con la Signora De Lise?»

Doron sapeva bene a chi apparteneva quella voce. Si girò e un giovane uomo che indossava vesti troppo grandi per lui gli andò incontro. Si chiamava Mitch e aveva il viso coperto di lentiggini, i suoi occhi brillavano di vitalità.

«Mitch! Non stavi lavorando alla Chiesa della Magia? Come mai sei qui?» gli chiese Doron sorpreso.

Il villaggio dove viveva era controllato da un signore feudale che aveva fatto costruire lì una Chiesa di Ilmater. I signorotti erano soliti preferire e venerare questa divinità e cercavano in tutti i modi di far convertire anche i loro sudditi.

Invece, trovare una chiesa dedicata a Mystra era abbastanza difficile. L’unica si trovava in una città distante quasi un giorno e mezzo di viaggio in carrozza. Per Doron lì finiva il mondo, ci era stato solamente una volta nella vita ed era rimasto incantato da quella città così vivace. Era invidioso di Mitch e del suo lavoro perché, nonostante fosse un umile servo come lui, aveva comunque la possibilità di lavorare in una chiesa. Un giorno avrebbe potuto risvegliare i suoi poteri magici e diventare un mago rispettato e venerato da tutti.

Doron gli rivelò i suoi pensieri e Mitch ne fu mortificato. Agitò la mano come a voler scacciare un ricordo spiacevole. «Non me ne parlare nemmeno, sono stato costretto a tornare perché la chiesa ha chiuso i battenti.»

«La chiesa… è chiusa?» Doron rimase di stucco. Quelle parole non avevano il minimo senso. Le chiese erano protette e custodite dalle loro divinità, i preti facevano strani incantesimi e le commissioni che guadagnavano erano abbastanza da permettere la sopravvivenza anche alla più piccola delle chiese. Come poteva chiudere un posto del genere? Doron non riusciva a spiegarselo.

«Allora non sai proprio nulla…? Quasi tutti i preti sono improvvisamente morti la stessa notte in cui è spuntata la luna nera. Chi se l’è cavata non ha fatto altro che piangere tutto il giorno…»

Mitch era appena tornato dalla città e non vedeva l’ora di raccontare la storia a tutti quanti. Si fece più vicino e sussurrò coprendosi la bocca con la mano, «ho sentito che la Dea dell’Intreccio è caduta…»

«La Dea dell’Intreccio è caduta?» Doron non sapeva che altro dire in merito. La questione non lo riguardava molto perché Mystra non era una divinità che aveva mai venerato. Ecco perché non riusciva bene a comprendere la gravità della situazione. Sentire che una vera dea era stata sconfitta gli provocava solo una leggera soddisfazione, come quando gli arrivava la notizia della morte di un re.

«Mm, i maghi sono proprio sfortunati…» disse Mitch con un mezzo sorriso. A quanto pare sia i preti sia i maghi lo avevano spesso trattato male. «Un sacco di maghi sono pure stati pestati a sangue da un gruppo di ladri qualche giorno fa…»

«Cosa c’entra tutta questa storia con i maghi? Non potevano usare la magia per proteggersi da quella feccia?» gli disse Doron scettico. Non credeva fino in fondo alla sua storia. Per lui i maghi erano esseri superiori, persone temute e riverite persino dai signori. Persino quella dispotica della signora De Lise non osava prendersi gioco di Holdman, il mago che viveva nella città vicina.

«Hehe… una volta morta la Dea dell’Intreccio, i maghi hanno perso tutti i loro poteri… era ovvio che i signorotti e tutti i poveracci che hanno perseguitato fino ad oggi si vendicassero alla prima occasione, non credi?»

Mitch foderò un gelido sorriso a trentadue denti, «ecco perché sono tornato. Non avevo molte speranze di cavarmela lì, così mi sono venuto a nascondere qua… comunque, cambiando discorso! Che ne dici di andarcene alla Taverna di Buck e di berci qualcosina per festeggiare?»

«Ma…» Doron sfiorò il suo portamonete, «non ho avuto ancora modo di vedere la chiesa!»

«La chiesa? Ah, sì! Le altre chiese sono tutte occupate a fare dei preparativi, mi sa che vogliono evacuare o cose simili. Persino i nobili e i commercianti non sanno più a chi chiedere per gli incantesimi, dato che i preti hanno sempre da fare ultimamente… anche qui dovrebbe essere la stessa cosa…» Mitch gli appoggiò la mano sulla spalla, come esortandolo a non sprecare il suo tempo e dimenticarsi di tutta quella faccenda.

«No!» rispose lui, fermo nella sua fede.

«Va bene, va bene. Ho capito.» disse Mitch scrollando le spalle infastidito, «ti accompagno.»

La chiesa del villaggio non era molto grande, occupava lo spazio di due o tre case. Davanti all’entrata c’era una fontana, ma sfortunatamente era rimasta all’asciutto. L’interno della chiesa era spoglio, molti oggetti sembravano scomparsi. I pochi servi rimasti si aggiravano senza nulla da fare e i fedeli in preghiera si contavano sulle dita di una mano. Doron si era accorto che qualcosa era diverso, ma prese coraggio e chiese a uno dei servitori, «Salve! Vorrei incontrare Padre Rockefeller!»

Padre Rockefeller gli aveva sempre fatto una buona impressione, era un uomo benevolente e gentile. Non conosceva molti incantesimi e sapeva usare solo i più semplici, ma era capace di guarire le ferite e aveva salvato tante vite nel villaggio. Doron aveva deciso di fare a lui la sua donazione, nella speranza di potergli poi chiedere qualche favore in futuro. Il vecchio servitore a guardia della porta ci mise un po’ per processare la richiesta di Doron. Alla fine si mosse, si strofinò gli occhi e gli disse «Padre Rockefeller… se n’è già andato. Ha portato via tutto con sé, ha lasciato solo qualche patata per il suo povero cuoco…».

«Come? Nessuno ha ancora preso il suo posto?» Doron era sorpreso. Nel villaggio, nonostante fosse un piccolo centro, c’erano moltissimi fedeli. Nessuno avrebbe lasciato cadere in rovina una chiesa in un luogo dove le sue fondamenta erano così solide. Ci sarebbe già dovuto essere un altro prete pronto a prendersi cura degli affari.

Tutto quello non era per nulla normale, Doron aveva un brutto presentimento.

«Perché me lo chiedi? Vuoi pregare e confessarti? Magari ti posso aiutare io!» gli occhi del vecchio fornaio già puntavano il suo portamonete.

«No, grazie. Non ce n’è bisogno!» Doron aveva già capito quali erano le sue intenzioni. Si tenne stretto il suo borsellino e scappò via. Mitch lo seguì. Quando furono al sicuro, lontani dal villaggio, Mitch scoppiò a ridere e gli disse tra un respiro e l’altro, «Hai visto? Avevo ragione io!»

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